“Arte di bere d’estate”, il must have da ombrellone

da | Ago 2, 2016

Niente da fare. Quando si parla con Giovanni Giaccone c’è sempre qualcosa da imparare, qualche sfumatura da cogliere per vivere, fondamentalmente, più consapevoli, sereni e disillusi. Una semplice chiacchierata sul suo secondo volume uscito da poco per Il Melangolo, Arte di Bere d’Estate, spin off per così dire del pluridecorato Cocktailsofia, per comprendere nell’ordine: come mai Genova è così prestigiosa in ambito di cocktail, come si fa un libro di successo, il must drink dell’estate 2016 e, soprattutto, l’idiosincrasia verso la parola apericena e tutto il deplorevole mondo che trascina con sé. Senza fare eccessivamente i fighi da bancone ma i normodotati da bar, ecco.

In poche – pochissime, vista la mini-mole del mini-tomo – parole si spiegano ancora una volta le leggende, i miti, le storie vere e veritiere che si nascondono dietro ai cocktail più adatti alla stagione in corso. In Arte di Bere d’Estate si tratta di spezie, di nomi tropicali, di frutti esotici e di filoni filosofico-culturali che distano, in realtà, km0 con il banale aperitivo che sorseggiamo divorati dall’afa.
Il vademecum del cosa si sta bevendo nel momento in cui lo si sta bevendo; dovrebbero distribuirlo nei locali, un po’ come il cioccolatino offerto insieme al caffè. Non stona, anzi, arricchisce.

Oltre le pagine, c’è molto di più: un breve quanto esemplare excursus su come la cultura pop abbia influenzato i nostri stili di vita, dall’architettura all’enogastronomia; come la tanto apprezzata quanto estiva filosofia Tiki (da qui molti nomi dati a chiringuitos su spiagge caraibiche e nazionali, nomi storpiati di bevande e concept di locali) sia sbarcata letteralmente in Europa dai nostri moli; come Genova, capitale indiscussa della creazione e divulgazione alcolica, sia stata resa regina e custode di una tradizione da mestieranti e un po’ psicologi, i bartenders.
Insomma, svelare tutti i trucchi di un libro di successo sarebbe troppo da chiedere, anche a uno che fino a poco tempo fa entrava in casa di tutti noi leggendo il tg della sera.

Quindi racconta, si espone, si capisce come la ricerca dietro all’uscita dei libri sia stata tutto tranne che casuale, facendo, de facto, Giaccone portatore primo e ultimo del Verbo bevitorio. Prova del nove: Cocktailsofia e Arte di Bere d’Estate sono stati annoverati tra i 10 must have letterari della cultura pop contemporanea. Mica pizza e fichi, bensì rum e menta!

Promuove a pieni voti Genova e i suoi protagonisti miscelatori, poiché cresciuti tra mura che trasudano tradizione ed equilibrio nel gusto così come nelle proporzioni. Critica, laddove necessario: i tanto fastidiosi apericena, che vogliono dire tutto e niente, hanno un’origine e un compimento, nella storia e nel “male”, tutta da sapere. Infatti, figli del proletario mercoledì al cinema a 7.000 lire, gli apericena erano la scusa perfetta per stanare a prezzo conveniente i genovesi dalle loro case, mandarli al cinema ma con la pancia abbastanza piena da contenere il mugugno e destinarlo esclusivamente alla star hollywoodiana di turno. Mal comune, pance piene, come direbbe il saggio.

Sta così, come i cavoli a merenda insomma, che un drink come si deve non possa essere utilizzato, gustato a dovere e digerito ancora meglio, mentre si pasteggia. Un drink con i crismi, è protagonista in un quadro di piccole comparse atte ad esaltarne la sola essenza. Giammai infilarlo a forza in un coro gospel dove la nota stonata arriva, nel marasma, senza saper precisamente da dove!
Nasce così la filosofia della modifica lieve, ovvero il gioco delle tre carte: allungare, mistificare con soda, inondare di ghiaccio, utilizzare il bicchiere da long drink per qualsivoglia drink. Insomma, modificare la carta costituzionale del buon miscelatore senza abrogare nulla, inserendo, semmai, decreti o regolamenti che tutto modificano senza apparentemente fare nulla. Ecco perché, probabilmente, noi che a Genova siamo cresciuti con il palato giusto prendiamo il concetto apericena come una spina nel fianco.

Alla fine dei conti, l’Arte di Bere d’Estate va via facile, come un buon long drink all’ultimo sole dell’ultima spiaggia con questa personale e preziosa best of che Giaccone riserva sul finire:

per il Dark’n Stormy, ovvero “Era una notte buia e tempestosa” …ricorda qualcosa? Certo la ginger beer ricorda perfettamente l’ossessione targata 2015, fresco.

il drink sinonimo dell’estate per antonomasia, il Mojito; presente nel volume I, deve avere un’unica, definitiva, particolarità: essere fatto bene (seguire la ricetta in fondo alla narrazione).

novità (appunto) in perfetto tiki’s style, il Mai Tai. Una piccola bombardata di sapori, astenersi timorosi e non-orzata-friendly. Solo per intenditori.

Infine, per così dire, menzione d’onore alla prefazione di Marco Cubeddu, perfettamente “sul pezzo” nella critica alla ragion pratica strettamente vicolara del non saper più bere con senso e non saper più offrire qualità, ingegno e, insomma, cultura. Perché bere bene vuol dire vivere bene.
Arrivederci a Natale, con il terzo dei figli della filosofia giacconiana del bere con senso e, sta volta, a pancia piena. Stay tuned.

Autore

Hira Grossi

Nasce e resta femmina, mamma e giornalista. Da anni si dedica assiduamente alla tradizione enogastronomica del gozzovigliamento hardcore, raggiungendo vette e risultati altissimi. Molti amici chef e sommelier cercano, invano, di insegnarle trucchi del mestiere

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