Il bar perfetto è difficile da trovare, ma quando lo trovi lo riconosci subito. Non ce n’è uno solo, ma non sono neanche molti. Il bar perfetto poi è necessariamente mutevole, perché il suo identikit si ritaglia sui bisogni dell’hic et nunc: dove posso trovare un buon caffè, zac, eccolo. Ho voglia di una spuma, zac, eccola. Certo che ci vorrebbe una cameriera scollacciata, zac, eccola.
Tuttavia io lo trovai, il bar perfetto.
Mi si palesò dopo #centomila curve in un giorno di agosto, viaggiando sul dito còrso da Saint-Florent a Cap Corse. Strada stupenda, col mare a strapiombo, profumi di macchia. Ma chilometraggio bastardo, con la destinazione che sembra sempre là, irraggiungibile come quella storia di Achille e la tartaruga: curva, cambiata, curva, cambiata, curva, cambiata, che forse Zenone aveva ragione. Senti il bisogno di una sosta: per i lombi, per lo stomaco, per le gambe.
Ed ecco Nonza. Mucchio di case accrocchiate alla roccia, una vecchia e smandrappata torre di guardia e la statale che taglia il borgo con un’unica secca curva. Lì stava il Café de la Tour. Il bar perfetto, appunto.
Il tetto non c’è. Sono le verdi fronde di quattro platani a farti ombra, che con la brezza marina fan rumore di campagna. Un minuscolo antro è il riparo invernale, quando la costa si sgonfia di turisti e a Nonza rimangono pochi gatti.
L’immancabile Pietra à la pression guarnisce un semplice bancone in muratura inagibile qualora piovesse. Le vecchie sedie in plastica intrecciata, probabilmente coetanee alle tante mehari che passano pigramente davanti, fanno da corredo alla fontanella del paese – dove la graziosa cameriera riempie il pichet dell’acqua.
Sì, forse alla fine di bar perfetti ce ne sono tanti, ma forse non così tanti, ché bisogna aver la fortuna di coglierlo l’attimo della perfezione. Se ci farete un passo, la determinazione di riaffrontare la tortuosa strada verso casa si scioglierà al rumore dello zampillo della fontana. E il naufragar m’è dolce in questa menthe à l’eau.